L’esperienza calabrese nella cura delle demenze della RaGi sarà presentata nel mese di Aprile a Torino in un importante appuntamento organizzato nell’ex manicomio del Collegno.
E’ stato un grido nei confronti di una rassegnazione che tende a schiacciare i calabresi più fragili quello lanciato dalla dott.ssa Elena Sodano, presidente della Ra.Gi. di Catanzaro nel corso del convegno organizzato dall’associazione Coesione Internazionale di Reggio Calabria, in collaborazione con Unasam presiedute dalla dott.ssa Immacolata Cassalia e che ha rappresentato una delle diverse tappe che, partite dalla collaborazione di 104 associazioni da Cagliari nel 2018, culminerà con l’adesione alla conferenza nazionale per la salute mentale che si svolgerà nel mese di Giugno a Roma. L’evento è stato moderato dalla giornalista della Rai Elena Paba.
Un banco di prova per la dott.ssa Sodano che, nella sua relazione dal titolo “Persone con Demenze o intoppi gestionali”, ha dovuto affrontare la condizione un po’ spinosa di come vengono considerate le persone con una forma di demenze e le loro famiglie, nel tessuto sociale calabrese. E non ha avuto perplessità la professionista che oramai da decenni lavora ed è chiamata in vari contesti nazionali per far conoscere nuove possibilità di cura, comunicazione e relazioni più sane, vere e concrete che si possono instaurare con persone che continuano ad essere tali pur con la tristezza di una diagnosi di demenza. Una relazione seguita con molta attenzione e che ha commosso la platea di medici, principalmente psichiatri e neurologi provenienti da ogni parte della Calabria, ma anche operatori del settore e associazioni che hanno potuto conoscere e toccare con mano la solida realtà che la Sodano insieme al suo staff, ha realizzato tra Catanzaro e Cicala pur senza finanziamenti pubblici o privati.
“La demenza forse è stata mal-trattata e addirittura non trattata e non considerata. Le persone che hanno questa malattia e tutto il loro contorno sono state spesso il risultato di un’esclusione sociale sistemica a partire da chi ha cerato di terrorizzare le famiglie sul fatto che i loro familiari, a causa della progressione della malattia, diventavano delle nullità esistenziali. Quanti sconfinati errori di valutazione sul potenziale umano. E’ arrivato il momento di difendere queste persone da una pedagogia perversa che cerca di domare i corpi per sottomettere le menti, controllando attraverso derivati farmacologici che reprimono ogni recettore, le bizzarrie di un corpo che diventa inquieto perché non è capito nei suoi bisogni più profondi. Inquieto ma ben venga dal momento che si trova nel pieno della sua espressività. Purtroppo, oggi – ha continuato la Sodano- le priorità sono sempre più spostate verso un corpo economico che viene spogliato da tutta la sua soggettività e quindi le persone con demenze non vengono considerate in relazione con un sistema culturale, sociale, economico e politico da cui contraggono spesso il loro malessere perché sono vittime di una sordità patologica che non possiamo più tollerare”.
Spostando l’accento su una dimensione sociale la Sodano ha fortemente rimarcato il fatto che la Demenza non può più essere più considerata come una semplice degenerazione progressiva di sistemi organici e quindi sottoposta solo a valutazioni, linee guida o profezie di carattere sanitario. “La sofferenza che viene imposta a queste persone è principalmente di natura sociale perché manca una politica che possa istituire processi ambientali di inclusione. E proprio per questo che noi incontriamo e portiamo le persone con le demenze sul territorio includendole per quanto ci è possibile e rompendo ogni muro tra il sociale e la demenza. Perché noi siamo il sociale. Noi siamo l’istituzione. Solo così facendo il sociale può diventare terapeutico. E’ molto più facile rinchiudere le persone con una demenza in una fase acuta della malattia, in contesti istituzionalizzanti dove non possono più dare fastidio, silenziati da una realtà che ha mandato in crisi la stessa co-esistenza umana. La demenza non può essere capita senza provare sulla propria pelle la disperazione delle persone e delle famiglie. Non solo per le demenze ma per tutta la sanità non è più tempo di vittimismi ma di indignazione per le tante orecchie sorde e per i tanti interessi che mettono da parte l’uomo e la sua sofferenza. Allora ritengo che tocca a noi, a noi che ogni giorno ci sporchiamo le mani lavorando a fianco della disperazione e del dolore che ci ha intriso ogni poro della nostra pelle, disporre il mondo in modo che sia accessibile alla libertà e alla possibilità del corpo e dell’anima delle persone con demenza”.
Articolo pubblicato anche su CN24TV
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