Nel mio lavoro con le persone con demenza, ho dovuto fare i conti non con la fragilità del malato e della sua famiglia, ma, principalmente,con la mia fragilità.
Una fragilità che passa attraverso le paure, la consapevolezza di trovarmi di fronte a persone e non di fronte alla malattia, la relazione che con loro e attraverso di loro inevitabilmente ci cambia, perché quella relazione diventa “sacra”, diviene “senso”.
Partiamo da qui.
Dalla nostra fragilità umana, dalle nostre ferite. Anche se tutto intorno a noi vuol farci credere il contrario.
Perché la fragilità cognitiva e comportamentale dei nostri dementi rispecchia la nostra esistenziale fragilità. Pensateci. Noi presumiamo perché non ci leggiamo attraverso la filigrana della nostra verità. Presumiamo di essere forti, sani, perfetti, immacolati. Siamo persone che “riescono a fare” e alle quali spetta di diritto un posto, una connotazione sociale.
E le persone con demenza, che invece “Non riescono a fare” che posto gli spetta? E questa presunzione ci fa dimenticare o comunque prendere le distanze dalla nostra essenziale fragilità umana, fatta di limiti, incertezze, chiusure, resistenza al cambiamento, incomprensioni.
Ma avete mai pensato al fatto che quella indementita fragilità cognitiva e comportamentale possa trasformarsi nell’occasione del nostro cambiamento? Del nostro capovolgimento esistenziale?
Dell’apertura di cuori che induriti, non riescono più a emozionarsi? Una consapevolezza rivoluzionaria, una logica di cambiamento, un viaggio affascinante.
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