Che significato ha per un paziente con Alzheimer o con demenza vivere quotidianamente all’interno di un corpo che piano piano non risponde più agli stimoli che gli vengono dati? E come le persone con demenza vivono la condizione del loro corpo? E come percepiscono il loro corpo? E poi, i pazienti con Alzheimer sentono ancora di avere un corpo?
Sono queste le domande alle quali hanno dato risposta i corpi dei tanti partecipanti all’ultimo appuntamento che la Ra.Gi. Onlus ha organizzato in occasione della XXIII Giornata Mondiale della malattia di Alzheimer e che ha visto nei giorni del 19, 20 e 21 settembre tutto lo staff impegnato a presentare le attività che si svolgono all’interno del nuovo Centro Diurno, un Open Space per i disagi cognitivi e psico-corporei regolarmente autorizzato dalla Regione Calabria.
Il laboratorio terapeutico espressivo corporeo dal titolo “Il corpo nella demenza” pur essendo organizzato per sole 30 persone ha visto la presenza di 85 operatori giunti da ogni parte della Calabria tanto che il setting è stato diviso in due giornate. Tutto questo è stato fortemente voluto dallo staff della RaGi per far conoscere, a quanti più operatori possibili, un metodo terapeutico non farmacologico nuovo e reso possibile anche grazie agli ampi spazi messi a disposizione dalla RaGi.
I partecipanti, psicologhi, psichiatri, medici, educatori, oss, fisioterapisti, hanno potuto vivere sulla propria pelle le attività di Terapia Espressivo Corporea Integrata applicata all’interno dello spazio Al.Pa.De. lavorando, anche grazie agli strumenti adoperati, su stimolazioni cognitivo corporee, prassie ideo motorie, danceability, ritmi corporei, movimento e linguaggio simbolico, metafore del movimento e tanto altro. “Credo che il successo di questo laboratorio sia dovuto al fatto che gli operatori che lavorano a diretto contatto con le patologie neurodegenerative abbiano fame di strumenti relazionali che permettano loro di entrare in contatto con queste persone – afferma Elena Sodano terapeuta espressivo psico corporea e responsabile del Centro Diurno RaGi -. In questi anni abbiamo capito che di fronte ad un grave deterioramento neuronale e quindi cognitivo, il corpo rimane forse il solo strumento che queste persone hanno per poter ancora comunicare con il mondo affettivo relazionale che li circonda. Un mondo che però non le accetta, anzi le isola, le annulla ogni giorno di più.
Molto spesso il problema non è la cura della malattia, perché rispetto a queste patologie purtroppo ci dobbiamo arrendere alla fallibilità della ricerca, ma quanto a fare stare bene i pazienti nonostante la malattia. E, mentre la medicina di fronte a questa malattia mette la cura del corpo in secondo piano per dare importanza ai sintomi che la malattia porta con sé, noi invece cerchiamo di creare attraverso il corpo e la simbologia dei suoi gesti, un ponte di comunicazione ancora possibile.
I sintomi sono quelli che occorre mettere a tacere attraverso la somministrazione farmacologica, che a volte procede a tentativi. Proviamo un farmaco, poi ne proviamo un altro fino a quanto forse si trova quella medicina giusta che rende la persona con demenza meno disturbante possibile. Nel Centro Diurno, grazie alla presenza della stanza multisensoriale Snoezelen, noi i pazienti li “sediamo” con tecniche corporee specifiche. I corpi dei pazienti con demenza subiscono forti modificazioni. Diventano corpi lenti, perchè tutti i loro sono movimenti rallentati e quelle attività date per scontate diventano incerte ed indecise, è come se i pensieri e le parole non avessero più quella giusta forza per far muovere i loro corpi.
Le attività che una volta erano facili, come abbottonare una camicia, pettinarsi i capelli, cucinare, stirare, con la malattia richiedono un maggiore sforzo attentivo e di conseguenza il loro quotidiano essere nel mondo diventa carico di difficoltà. I corpi dei pazienti con demenza sono corpi perduti, perché si trovano a vivere in un mondo che per loro non ha più senso. Sono perduti perché perdute sono piano piano tutte le esperienze acquisite nel corso degli anni, vengono meno le capacità del fare quelle cose che di solito noi compiamo senza sforzo.
I corpi dei pazienti con demenza sono corpi vuoti, privi di ogni contenuto discorsivo che possa restare in mente. Sono corpi assenti, perchè spesso nelle loro case passano il tempo seduti immobili, guardando fisso nello spazio. Il risultato di questo collasso della partecipazione è che le persone si trovano ad essere in un mondo che sembra sterile e svuotato di ogni significato.
I pazienti con malattia di Alzheimer hanno continuo bisogno di contatto, lo cercano a volte lo pretendono con forza, quando nella loro immaginazione io divento la loro mamma, una mamma che deve riconoscerli e fare riconquistare loro quello spazio all’interno di un mondo che spesso più non li accetta, una mamma che deve restituire quei gesti e quelle abitudini che non appartengono più a quel corpo, ma che da quel corpo devono ritrovare la strada per ri-emergere ed esprimersi. Perché il corpo, qualunque corpo, anche quello che giace immobile perché i suoi motoneuroni non mandano più alcuno stimolo, parla, trasmette messaggi che non possono restare inascoltati.
Qui sto parlando di corpo intenzionale, di corpo vissuto, di corpo anima e non di organismo. L’organismo lo vedo come qualcosa che appartiene ad una cultura anatomo-patologica ed a quella cultura medica che rifacendosi ancora alla divisione cartesiana tra res cogitans ossia la realtà psichica e res extensa ossia realtà fisica, tratta il corpo come un oggetto come qualcosa da manipolare, su cui sperimentare, capire, trovare. L’organismo è spesso sinonimo di non vita, di cadavere, mentre il corpo è vita, anche se si trova nella disabilità più estrema”.
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