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Il cibo questo sconosciuto

Mia mamma non mangia più, quando siamo tutti seduti intorno al tavolo mamma ci guarda smarriti come se non sapesse più cosa fare. E’ impacciata, non mangia, non sa cosa sono le posate, a cosa serve un bicchiere, non mi chiede mai di mangiare e nemmeno di bere”.

E’ triste, molto triste sentire parlare i familiari dei nostri pazienti che si sentono impotenti quando non sanno che cosa sta avvenendo nella mente dei loro congiunti, che pongono tantissime domande alle quali sperono in risposte che purtroppo non sono risolutive e che non riescono a migliorare le situazioni incresciose che si vengono a creare. Il momento del pranzo per una persona che ha l’Alzheimer spesso si trasforma in un incubo per il familiare e in un momento molto frustrante per il paziente che deve sopportare le insistenze dei familiari che a volte sono verbali ma altre volte diventano vere e proprie violenze fisiche.

Anche in questo caso spesso ci troviamo di fronte ad una incompetenza relazionale che priva i familiari della possibilità di aprire una dimensione meno frustante per il paziente.

La persona ammalata di fronte ad una tavola pur se ben imbandita non riconosce più le posate che gli consentono di portare il cibo in bocca, non distingue gli alimenti, può succedere che mangi di più perché si dimentica di aver già mangiato o perché perde proprio il senso della sazietà (iperfagia), che non mangi nulla, che si metta a mangiare qualsiasi cosa gli si presenta davanti oggetti, foglie, liquidi dannosi per la sua salute. A seconda dei casi ci troviamo sempre di fronte a fasi diverse della progressione della malattia in cui vengono deteriorati i centri del sistema nervoso centrale provocando alterazioni del gusto e dell’olfatto a tal punto che la persona può rifiutare il cibo. La stessa cosa può avvenire per la sete, gli anziani rischiano di andare incontro a fenomeni di disidratazione perché il desiderio del bere tende a diminuire. Con il progredire della malattia inoltre la persona con Alzheimer può accusare difficoltà nella masticazione e nella deglutizione (disfagia) e questo costringe il familiare a modificare anche la consistenza dei cibi a seconda dell’aggravarsi dei sintomi. Per tali motivi le persone dementi presentano spesso gravi problemi nutrizionali con calo di peso corporeo e preoccupante mancanza di acqua nel corpo; cause che spesso accelerano l’evoluzione della malattia. Quando il progredire della malattia colpisce i centri motori, quindi quando la persona non riesce più a parlare, ha difficoltà di masticazione, non riesce più a deglutire, ha crisi di soffocamento, spesso i medici devono optare per l’alimentazione artificiale che avviene con il posizionamento della Peg, ossia l’applicazione di un sondino allo stomaco attraverso una piccola incisione della parete addominale.

Numerosi sono gli studi che stanno cercando di capire se esiste una relazione tra quello che mangiamo e la formazione della proteina tossica beta amiloide che come abbiamo visto rappresenta una delle cause scatenanti dell’Alzheimer, “Noi siamo quello che mangiamo” affermava il filosofo Ludwig Feuerbach ma, rispetto a quello che può essere un possibile legame tra l’insorgere della malattia di Alzheimer e le abitudini alimentari c’è poca letteratura scientifica in merito.

In uno studio pubblicato su Dementia Update Numero 3, Gennaio 1999 a cura di Elisabetta Masoero, Stefano Govoni, Luigia Favalli si legge infatti: “I rapporti tra dieta e demenze sono “sfumati”. Tranne che in qualche caso molto circoscritto, non è possibile tracciare nelle nostre popolazioni di anziani o di dementi un collegamento diretto tra dieta e processi neurodegenerativi. D’altra parte, le abitudini dietetiche possono contribuire a definire il profilo di rischio di un individuo assieme a tutte le componenti biologiche e di comportamento che condizionano lo stato di salute. Infine è bene ricordare l’attenzione che il medico deve dare all’equilibrio dietetico nel demente, perché una carenza alimentare in un organismo fragile potrebbe causare uno scompenso che si riflette anche su altri sistemi e diventa generale”([1]).

Rispetto agli studi fatti dai ricercatori, possiamo affermare che assumere attraverso la dieta più Omega 3, quindi i grassi polinsaturi, mangiare frutta e verdura e prediligere la dieta mediterranea potrebbe rallentare il rischio di sviluppare l’Alzheimer e ridurre il declino cognitivo in persone con età avanzata. I grassi saturi, quindi i grassi di origine animale, se inseriti in maniera esagerata nella dieta, possono invece triplicare il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.

Gli acidi grassi Omega 3 sono quei grassi polinsaturi che il corpo utilizza per il funzionamento di molti organi e tessuti principalmente per il mantenimento e corretto funzionamento del sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale). Essi costituiscono circa un quinto del peso secco del corpo umano e di questo il 20% è costituito dal cosiddetto Omega 3 docosa- exaenoico) che si concentra nelle sinapsi nervose, ossia la parte a forma di coda nei neuroni e che per tale motivo diventa importantissimo nella comunicazione tra le cellule cerebrali (Sabbagh 2008).

Una dieta a base di acidi grassi omega-3 ridurrebbe il rischio di sviluppare l’Alzheimer dal 40 al 60%. Il pesce grasso come sgombro, salmone, sardine, trote, tonno, oppure uova e pollame sembrano essere una buona fonte di quello che è viene visto dagli studiosi un buon antidoto anti- Alzheimer, favorendo una lenta perdita delle funzioni mnemoniche.
In particolare il Chicago Health and Agin Project ha svolto uno studio su 800 residenti a Chicago di età superiore a 65 anni per valutare i livelli di acidi grassi Omega- 3 nella dieta dei residenti. Alla fine dello studio è stato osservato che: “Un’assunzione settimanale di pesce era associata ad un declino cognitivo più lento (10%) rispetto a quello che si riscontrava seguendo una dieta con meno di un pasto a base di pesce alla settimana e più lento del 12% negli individui che mangiavano pesce almeno due volte alla settimana”([2]).

Alcuni studi hanno dimostrato inoltre che l’assunzione di alimenti anti-ossidanti portava ad un più lento declino cognitivo e ad un minore rischio di contrarre l’Alzheimer. Un alimento antiossidante per eccellenza che proteggerebbe i neuroni dalla proteina tossica del Beta amiloide, è la vitamina E che insieme alla vitamina C, avrebbe un effetto benefico nel frenare il declino cognitivo. Il consumo di frutta e di verdura come sappiamo è molto importante per garantirci uno stile di vita sana che riesce anche a fornire il corpo di nutrienti importanti come beta-carotene, flavonoidi, caretonoidi e le immancabili vitamine E e C che rappresentano vere e propri armi che l’uomo ha a disposizione per prevenire ictus ed altre importanti patologie come tumori e malattie cardiache. Gli alimenti che contengono molti anti-ossidanti sono mirtilli, spinaci e fragole. Sempre i ricercatori del Chicago Health and Aging Project hanno riscontrato che le persone che consumavano tre porzioni di verdura al giorno riducevano drasticamente il rischio di sviluppare l’Alzheimer rispetto a chi ne consumava meno di una porzione e che molto importante, per evitare il declino cognitivo, era anche il consumo dei legumi. (Sabbagh 2008).

In altre parole la mamma aveva ragione: mangia la verdura che ti fa bene. La dieta mediterranea sembra essere favorita rispetto alla dieta americana per il più basso livello di grassi saturi e il più alto livello di grassi buoni come gli acidi grassi mono-insaturi che si trovano appunto nel pesce, nelle noci e nell’olio di oliva. Alcuni ricercatori di New York in uno studio follow-up hanno osservato che: “una più alta aderenza alla dieta mediterranea era associata ad un rischio minore del Alzheimer del 34%. Il terzile più alto dei soggetti che aveva continuato a seguire la dieta mediterranea aveva il 68% di rischio in meno di sviluppare l’Alzheimer se comparati con il terzile più in basso dei soggetti di studio”.([3]).

Un altro studio interessante condotto in Cina spezzerebbe una lancia in favore dei succhi di frutta e di verdura che contengono molti tipi di polifenoli che sono antiossidanti esclusivi delle piante. I partecipanti a questo studio all’inizio del trattamento non avevano alcuna forma di demenza e gli studiosi hanno concluso che il rischio di sviluppare l’Alzheimer si riduceva del 76% per i soggetti che bevevano succhi almeno tre volte alla settimana. Il tè verde è un altro potente anti ossidante che contiene epigallocatechina- 3 – gallato che elimina i radicali liberi bloccando le molecole cattive e prevenendo così’ il danno che queste possono causare. L’india è il paese che registra il più basso numero di ammalati di Alzheimer nel mondo: nella popolazione dai settanta ai settantanove anni è inferiore del 25% rispetto a quello degli Stati Uniti. Secondo alcuni studi condotti da epidemiologici, la causa potrebbe essere collegata al fatto che il curry è un spezia che viene consumata in ogni alimento dalla popolazione.

La maggior parte delle persone, vuoi per uno stile di vita molto frenetico, vuoi perché il mito della donna tra i fornelli è venuto sempre meno, ricorre sempre più spesso all’assunzione facile di integratori alimentari per mantenere integra la salute del proprio cervello. Anche in questo caso alcuni studi hanno dimostrato che per ottenere questo beneficio è necessario un’assunzione a lungo termine del giusto cibo tramite la dieta e non tramite l’assunzione di integratori e pillole prese per un breve periodo di tempo. Insomma meglio mangiare ogni giorno una carota che prendere una pastiglia di beta-carotene.

 

Bibliografia

[1] DEMENTIA UPDATE Numero 3, Gennaio 1999

[2] MARWAN SABBAGH, Risposta all’Alzheimer, Roma, Armando, 2008, pag 154

[3] Ibidem SABBAGH pag 163

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