Il trattamento farmacologico per l’Alzheimer continua ad essere ancora oggi una vera e propria sfida per il medico perché purtroppo ad oggi la scienza non ha prodotto nessun farmaco che sia in grado di prevenire, rallentare la sua progressione o guarire tale malattia.
Il trattamento di queste persone quindi richiede sempre di più un approccio multidimensionale che, oltre all’impiego di psicofarmaci richiede la formazione dei familiari, dei caregiver e interventi terapeutici non farmacologici che comprendono approcci di stimolazione cognitiva, e multi strategici come la terapia dell’orientamento della realtà (Rot), e la terapia della reminescenza.
Per favorire il benessere delle persone con demenza sono stati messi in campo numerosi metodi riabilitativi che vanno al di là delle terapie non farmacologiche oggi conosciute, metodi complessi che creano intorno alla malattia un approccio globale che riguarda sia l’ambiente esterno, sia quello relazionale, sia quello fisico.
L’idea che la demenza fosse un deficit cognitivo globale è stata oramai ampiamente superata dalla tesi che il deterioramento delle funzioni cognitive e delle funzioni conoscitive non avvengono in modo omogeneo nel senso che:” “Ogni demenza ha una propria progressione che produce una propria sequenza di comportamenti”([1]). Questo aspetto definito dalla Jones è per me molto importante e ne riparlerò più avanti. L’obiettivo riabilitativo che il professionista si pone quando si trova di fronte ad un paziente con Alzheimer è quello di rallentare la progressione della malattia attraverso la stimolazione di quelle che sono le sue risorse residue, ossia quelle funzioni che si pensa la malattia abbia risparmiato e che se riabilitate possono fornire al paziente il massimo di autonomia personale possibile in modo da permettergli di poter convivere fin quando gli è possibile con la mancanza cognitiva. Numerosi sono gli interventi di stimolazione cognitiva che vengono messi in atto da chi si prende cura delle persone con demenza, tra questi i più importanti sono
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Comporre un puzzle è in intervento di Memory Training il Memory Training: una tecnica che presuppone la stimolazione sia della memoria procedurale o memoria implicita sia la memoria dichiarativa o esplicita. E’ una terapia che presuppone il ricordo nel paziente di sequenze ed azioni, come ad esempio riempire la macchinetta del caffè, oppure rimettere apposto un puzzle o altre attività della vita quotidiana che il paziente inizia a dimenticare. Lavarsi le mani, la faccia, apparecchiare la tavola, scrivere una lettera, cucire, preparare una torta e molte altre, sono attività che vengono attivate e poi riproposte al paziente a distanza di qualche giorno. Di solito i pazienti, nel compiere le loro azioni, vengono guidati verbalmente dagli operatori e poi questa condotta diminuisce.
- Lo spaced-retrieval riguarda l’associazione di facce- nomi, oppure la denominazione di un oggetto e la sua allocazione. E’ una procedura che cerca di richiamare nelle memorie dei pazienti le informazioni acquisite nel corso della loro vita, cercando di potenziare la fase dell’immagazzinamento delle informazione che sono avvenute nel tempo.
- La Terapia di orientamento alla realtà ROT è la più diffusa terapia cognitiva applicata ai pazienti con confusione mentale e deterioramento cognitivo. Al paziente vengono ripetutamente poste domande sulla data del giorno, sull’ora, sulle stagioni, sugli eventi più importanti accaduti nella storia o nella vita del paziente. Vengono chieste al paziente informazioni spaziali come il racconto dell’esperienza di vacanze, gite, oppure informazioni sulla propria via di abitazione, sul proprio quartiere sulla suddivisione della propria abitazione. Ideata da Folson nel 1958, la Rot rappresenta una specifica riabilitazione finalizzata ad orientare i pazienti rispetto a sé, alla propria storia e all’ambiente circostante.
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La Terapia della Reminescenza: per stimolare le risorse mnestiche residue e recuperare esperienze piacevoli La Terapia della Reminescenza si basa essenzialmente sulla possibilità di far rievocare il proprio passato piacevole alla persona con Alzheimer; una tendenza naturale questa per un anziano che gode di ottima salute ma non così scontata per la persona che ha una patologia dementigena. Questo processo ha una duplice funzione: da una parte stimola le capacità mnemoniche del paziente e dall’altra ha l’effetto di far rivivere le esperienze positive della propria vita, contrastando quindi i ricordi negativi, migliorando così il tono dell’umore, limitando l’isolamento, potenziando le funzioni cognitive.
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La Terapia della Rimotivazione riguarda una tecnica cognitivo comportamentale indicata per pazienti con lieve deterioramento cognitivo e con sintomi depressivi non gravi. L’obiettivo consiste nel ridare vita e far ricordare quelli che erano gli interessi quotidiani degli anziani, il loro lavoro, i loro hobby preferiti e se è possibile cercare di farglieli riproporre. Questa tecnica è molto importante perché offre agli anziani lo spunto per poter raccontare ai presenti quando erano in gamba nel fare alcune cose.
Queste tecniche riabilitative però hanno dato in questi ultimi anni risultati contrastanti e non sempre si sono ottenuti gli effetti duraturi nella rieducazione delle funzioni cognitive. “Il loro limite consiste nel fatto che, quando vengono sospesi il paziente perde i risultati raggiunti nel training (…) Un altro effetto negativo che abbiamo notato nella pratica clinica è che il paziente a mano a mano che peggiora è sottoposto ad una maggiore frustrazione perché riesce sempre meno a svolgere compiti di tipo cognitivo e spesso si rifiuta per la forte emozione d’inadeguatezza che prova, nel mettersi alle prese con compiti che per lui sono diventati oramai molto difficili” (EMANUELA PASIN Alzheimer Terapie simboliche integrate. La nuova sfida per la cura della malattia del secolo, Fano (PU), Aras Edizioni, 2012).
Nei casi di deterioramento cognitivo grave si può attuare un tipo di intervento che viene chiamato di avvicinamento al paziente e rappresenta un capovolgimento dei trattamenti su descritti perchè nel momento in cui il paziente non è più in grado di mantenere il contatto con la realtà oggettiva sono il caregiver e l’operatore che cercano di entrare in punta di piedi nel mondo del paziente. “La persona affetta da grave deterioramento perde i contatti con la realtà oggettiva continuando però a vivere e provare emozioni, ad avere paura ad avere delle cose da comunicare. Invece di cercare di mantenere il paziente agganciato alla realtà ed alla comunicazione si cerca un aggancio con lui, si cerca di aderire al suo modo di comunicare, comprendere i suoi desideri, sforzandosi a capire quello che lui ha da comunicare”.
Oltre alle terapie non farmacologiche sopra descritte ci sono dei veri e propri metodi che hanno un approccio globale alla malattia perché rivolgono la loro attenzione sia all’ambiente esterno, sia a quello relazionale e sia all’ambiente fisico come ad esempio agli ambienti nei quali vive il paziente. Si tratta di metodologie che richiedono molto impegno nella loro applicazione e una specifica formazione sulla malattia sia da parte dei caregiver sia da parte degli operatori della cura.
Tra questi ci sono quattro metodi che sono risultati essere sono molto importanti per il nostro lavoro: il metodo Validation di Naomi Feil, Il Metodo Gentle Care di Moira Jones l’Approccio Capacitante di Pietro Vigorelli e la Terapia del Conversazionalismo di Giampaolo Lai.