COME MIGLIORARE LA COMPRENSIONE E LA COMUNICAZIONE CON LA PERSONA CON DEMENZA?
NELLA FASE INIZIALE DELLA MALATTIA
• Per compensare le difficoltà di memoria a breve termine della persona ammalata è bene:
1. non parlare né troppo velocemente né troppo lentamente;
2. evitare frasi lunghe e complesse;
3. utilizzare nei dialoghi il più possibile nomi e cognomi piuttosto che pronomi;
4. dire o domandare una cosa alla volta, verificando ogni volta se il malato abbia capito;
5. non proporgli lunghi elenchi di cose, e comunque, non contenenti mai più di cinque elementi.
• I disturbi per gli aspetti pragmatici del linguaggio possono impedire al malato di cogliere il significato di:
a. domande indirette: non dire “Non trovi che faccia caldo?” ma “Vuoi che ti apra la finestra?” ;
b. espressioni metaforiche: non dire “Tagliamo la corda!” ma “Andiamo via!”;
c. espressione idiomatiche: non dire “Tutto va liscio come l’olio” ma “Tutto sta andando bene.”;
d. proverbi: non dire “Cane che abbaia non morde” ma “Brontola ma in realtà è una persona buona.”
e. deduzioni: aspettando l’arrivo di un familiare non dire “Oramai, sono le nove passate.” ma “Oramai, credo che non venga più.”
NELLA FASE INTERMEDIA DELLA MALATTIA
• Per ridurre incomprensioni dovute a problemi di attenzione è consigliato:
1. quando si coglie la persona con demenza in un momento che non è in grado di concentrarsi non insistere più di tanto e riprovare dopo;
2. segnalare sempre in modo esplicito e se necessario più volte il tema del dialogo;
3. mai cambiare senza preavviso argomento di conversazione;
4. interrompere qualsiasi attività motoria quando si vuole ottenere dal malato un altro atto motorio (ad es., uno sta lavando i piatti, e vuole che la persona li asciughi; è meglio smettere l’attività, fare la richiesta, indicando eventualmente il burazzo, e poi riprenderla).
• Per venire incontro ai DISTURBI DEL LINGUAGGIO veri e propri della persona, è indicato indirizzarsi con:
1. un lessico semplice: parole di uso comune e concrete nella lingua che gli è più familiare (italiano standardizzato oppure dialetto);
2. frasi corte e semplici con verbi al tempo presente e non passato o futuro e senza uso del condizionale;
3. frasi positive anziché negative, che favoriscono inoltre un’atmosfera serena;
4. l’aiuto di oggetti o di gesti legati al tema della conversazione o delle domande;
5. domande che non obbligano il malato a risposte troppo elaborate (ad es., “Come?”, “Perché?”).
• Quando si tratta di scelta fra alternative, è utile presentargliele (poche per volta) attraverso altri canali; per la scelta di cibi e bevande, ad esempio, non è poi così faticoso farglieli vedere, annusare, toccare o assaggiare. Questa tecnica non potrà che fargli piacere perché è lui stesso a scegliere quello che mangia o beve e non gli altri al suo posto come solitamente avviene. E da sottolineare che eventuali perplessità nella scelta o rinunce potrebbero derivare da una riduzione dell’olfatto (anosmia) o del gusto (ageusia) dovuta sia alla malattia stessa che ai farmaci in uso.
• Se la persona non riesce a capire un messaggio, bisogna prima ripeterglielo pari pari, rispettando i suoi tempi di decodificazione, in caso d’insuccesso, glielo si ripete cambiando solo l’ordine delle parole, e soltanto dopo alcuni tentativi falliti, è meglio riformularglielo in altro modo.
NELLA FASE AVANZATA DELLA MALATTIA
• Non è assolutamente vero che la PERSONA in questa fase non è più in grado di scegliere e che, anzi, diventi ansiosa se lo deve fare. Basta offrirgli una scelta ben precisa. Ad esempio, alla domanda “Oggi che gonna vuoi metterti?” rimarrà quasi sicuramente senza risposta, ma mostrandogli due gonne, ben in vista, l’ammalata sceglierà senza esitazioni la sua preferita.
• Le domande devono essere formulate in modo che possa rispondere direttamente con “Sì” o “No” o con un cenno della testa o della mano. Bisogna però verificare la risposta più di una volta poiché in questa fase della malattia, la persona scambia di frequente l’uno per l’altro sia come parole sia come gesti;
• E’ il linguaggio dei gesti che fa la parte del leone nella trasmissione dei messaggi: si prova prima con il mimo intransitivo (senza l’oggetto), per poi passare a quello transitivo (il gesto con l’oggetto in mano), se questo non ha alcun effetto, si tenta infine ad abbozzare l’azione, aiutando la sua mano che compie il gesto nel tentativo di risvegliarne il suo automatismo (memoria procedurale). Non disperare se questa tecnica non funziona subito, solitamente occorrono più tentativi ravvicinati nel tempo per ottenere qualche successo, seguito di nuovo da un rinforzo.
C’è comunicazione finché c’è vita!!!!!!!
In conclusione, bisogna dimenticare definitivamente l’affermazione, che purtroppo si sente spesso dire,
“NON SI PUO’ COMUNICARE CON UNA PERSONA CON DEMENZA” ???????
Al contrario, c’è ancora molto da comunicare e ciò per tutta la durata della malattia … c’è comunicazione finché c’è vita! Il mantenere aperta la comunicazione con il malato, adattata secondo l’evoluzione della MA, fa parte integrante della “cura” non solo perché rappresenta un modo informale di stimolare il malato e di evitare o ridurre molti disturbi comportamentali, ma anche perché contribuisce significativamente ad una dignitosa qualità di vita dell’ammalato e, se vogliamo, anche di coloro che lo hanno vicino.
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