Catanzaro, 25 luglio 2019 – <<Passare da figlia accudita e coccolata a “figlia della demenza” fa male, ti stravolge>>. Elisa Pettinato, quarantasei anni, di Catanzaro è la figlia di Eugenio, settantadue anni, persona con demenza presa in cura dalla “Ra.Gi.” e un passato da artigiano della stampa in una storica tipografia di Catanzaro. <<Tutto questo – dice la donna con voce rotta dalla commozione – fa male come una spada che ti ferisce ogni giorno. Vedi il corpo di tuo padre intrappolato dai limiti che lui stesso non sa di avere, perché per lui tutto è rimasto fermo a prima del 12 dicembre>>, a prima della sua brutta caduta e a prima della diagnosi: <<Continua a chiedere a che ora deve andare a prendere i nipoti a scuola, chiede se stanno dormendo, e se sente qualche rumore in casa pensa che sia il suo “sbirellino”, suo nipote, che sta facendo chiasso>>. <<Per lui – racconta Elisa – è come se il tempo si fosse fermato, mentre in realtà ormai non esiste più né il tempo né lo spazio>>.
<<Con la malattia è cambiato tutto: è cambiata la vita di mia madre e la vita di tutti noi>> dice Daniele, quarant’anni, l’altro figlio di Eugenio. <<Mio padre – aggiunge – era un tuttofare: papà, marito e nonno a tempo pieno. Per lui c’era solo la famiglia. Ogni tanto faceva la sua partita a carte, ma soltanto quando non aveva niente da fare per noi. Adesso, invece, non lo puoi lasciare più da solo, è a rischio di cadute, e mentre prima guidava, adesso dev’essere accompagnato>>.
<<Ringrazio però il Signore – prosegue Daniele – per averci fatto incontrare Elena Sodano e la “Ra.Gi.”: sapere che ci sono persone che lo accolgono con il sorriso è importante per mio padre, che è sempre stato gioviale, ed è importante per noi famigliari perché significa che nostro padre non è abbandonato>>. Con le attività del centro diurno della “Ra.Gi.” <<lui può vivere una vita il più possibile normale, ad esempio avendo la possibilità di andare in giro per la città>> insieme alle operatrici e agli operatori impegnati nel progetto con finalità di inclusione denominato “Catanzaro centro storico comunità amica delle persone con demenze”. Inoltre, il supporto del centro diurno “Ra.Gi.”, compreso il servizio di trasporto da e verso casa, <<consente a noi famigliari di vivere più serenamente la malattia e permette a mia madre, anche lei anziana e che non guida, di poter staccare la spina>>.
<<Tutto questo – concorda Elisa – rappresenta per noi uno spiraglio. Mio padre non voleva rimanere nella struttura>> a cui i famigliari si erano affidati in un primo momento: <<Lì – dichiara la donna – era più aggressivo, voleva uscire, non voleva stare fermo su una sedia a rotelle. Mentre da quando è alla “Ra.Gi.”, mio padre è diventato più gestibile e gli operatori lo hanno sollevato dalla sedia a rotelle. Certo, ha sempre bisogno di essere accompagnato e di una mano che lo orienti, ma adesso sorride, fa le battute, ti chiede cosa facciamo e se usciamo>>.
Insomma: a fronte di una ricerca medica ancora senza risposte in termini di guarigione e al netto delle difficoltà di ogni giorno, sono possibili momenti di benessere e una qualità di vita migliore nonostante tutto. Dunque, il conforto malgrado il dolore. Malgrado il senso di abbandono alimentato <<dalla paura delle persone che quando ti incontrano al mercato – racconta Elisa – mantengono lo sguardo basso e aspettano da noi un saluto>>; quell’abbandono che si prova quando <<gli amici per paura non dicono più ai miei genitori: “Eugenio e Antonietta, venite a mangiare una pizza con noi!”>>.
La prova che la diagnosi non è la fine di tutto la si trova in tante cose. <<Mio padre è rimasto il nonno che era: nei momenti di lucidità raccomanda sempre ai nipoti di non correre, di stare attenti a non cadere, e quando li vede è il nonno più felice del mondo>>, ricorda Daniele. E poi, <<vuole sempre portare a compimento ciò che fa, proprio come quando lavorava in tipografia tornando a casa felice dopo aver realizzato ‘le partecipazioni’ di matrimonio>>.
<<L’ironia continua ad accompagnare mio padre nonostante tutto>>, dice Elisa. Che fa l’esempio di quando si reca con Eugenio alla fontana di Piterà per prendere ogni settimana l’acqua buona e fresca. La “fontana amica della demenza”, così la definisce lei. Perché qui suo padre fa le sue battute <<spesso azzeccate>> e <<la gente risponde senza accorgersi della malattia>>, con il risultato che tutto fila liscio fino a quando non si scorgono i segni della “diversità” e non ritornano i “muri” dello stigma.
Ma la “prova regina” di ciò che resiste alla demenza è rappresentata soprattutto dall’amore. <<Noi – scandisce ancora Elisa – non riconosciamo più lui, ma il suo amore per noi sì che lo riconosciamo>>. Un sentimento che Eugenio esprime ogni volta che il pensiero va a sua moglie. <<Quando parla con gli estranei, a un certo punto sente il bisogno di dire: “Chiedo scusa, ma la mia consorte mi aspetta>>. Parole ricorrenti nate dai ricordi dell’anima che restano vivi oltre i limiti della malattia.
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Francesco Ciampa, giornalista freelance, ufficio stampa “Ra.Gi.”
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