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Spazio Al.Pa.De

Ho perso per strada, un mare di gente che chiedevano di me.
Cerco, cerco cerco qualcuno che però non si fa trovare da me.
(Zia Ninna)

La nostra esperienza è stato un viaggio che è valso la pena intraprendere.

Un percorso di conoscenza umana e affettivo relazionale che ci ha permesso di arrivare a sfiorare l’anima dei pazienti con demenza che ogni giorno incontriamo all’interno dello Spazio Al.Pa.De, Alzheimer Parkinson e Demenze dell’Associazione RaGi Onlus di Catanzaro sito su Viale Magna Grecia 75/21 a Catanzaro.

L’unico Centro Diurno regolarmente autorizzato dalla Regione Calabria e specializzato nel trattamento non farmacologico delle demenze. Lo Spazio Al.Pa.De. (Alzheimer, Parkinson e Demenze) è un Open Space di 200 metri quadrati privo di qualunque muro divisorio per dare ai nostri ospiti la possibilità di potersi muovere liberamente e senza alcuna costrizione. Le pareti sono appositamente tinteggiare di vari colori accesi sia per offrire un maggiore senso dell’orientamento alle persone e sia per dare al Centro nessuna parvenza di un luogo medicalizzato. Proprio per tale motivo, lo staff educativo e terapeutico riabilitativo presente, non ha alcun camice bianco e nessuna divisa.
Il Nostro Centro è aperto tutti i giorni da Lunedì al Venerdì dalle 9:00 alle 17:00, Sabato dalle 9:00 alle 13:00. Gli orari sono comunque molto flessibili per venire sempre incontro alle esigenze delle famiglie. Usufruiamo del servizio trasporto dà e per il Centro.

I nostri ospiti sono Persone che, nella più profonda disintegrazione, ci hanno offerto in dono i sintomi che la malattia innesta in loro nutrendosi di quell’energia vitale che gli impedisce di vivere, ci hanno permesso di camminare insieme su di un terreno irto di incognite e fatto conoscere il loro dolore urlato ed incompreso, nella speranza di essere con-diviso, com-partecipato. Accettato.

L’importante è collegare” diceva celebre neurologo britannico Oliver Sacks “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” parlando di Jimmie un paziente affetto dalla sindrome di Korsakov, una forma di demenza degenerativa del sistema nervoso legata ad una carenza di tiamina e che colpisce principalmente chi abusa di alcool. Ma cosa occorreva collegare se Sacks si trovava di fronte ad un uomo senza radici o meglio radicato in un passato lontano forse troppo difficile da raggiungere? Cosa si poteva fare per raggiungere a livello relazionale un simile paziente? La risposta arriva dal suo amico Aleksander Luirija uno dei più grandi esponenti della scuola sovietica di neuropsicologia. “In un caso come questo non ci sono indicazioni – dice Lurija- faccia tutto quello che le suggeriscono la sua intelligenza e il suo cuore. La speranza che egli recuperi la memoria è poca o nulla. Ma un uomo non consiste solo di memoria. Ha sentimenti, volontà, sensibilità, coscienza morale, tutte cose su cui la neuropsicologia non può dire nulla. Ed è in queste cose, che travalicano i confini di una psicologia impersonale, che lei può trovare il modo di arrivare al suo paziente e di cambiarlo dal punto di vista neuropsicologico, lei può fare poco o niente; ma nell’ambito dell’individuale forse può molto“.

Queste parole rappresentano una sorsata d’acqua fresca. Ma davvero i pazienti con Demenza sono condannati al nulla?

La malattia di Alzheimer è oggi considerata la condizione più spaventosa che dovrà affrontare la popolazione anziana

 del XXI secolo, una sentenza diagnostica molto temuta e stigmatizzante che porta con sé un verdetto di morte sociale. I medici descrivono l’Alzheimer come una sorta di “morte vivente”, una condizione sotto il profilo economico molto sconveniente per la società. L’Alzheimer’s Desease, (AD) è una demenza degenerativa cronica e progressiva per la quale non sono state ancora trovate né una causa né una terapia farmacologica soddisfacente. Per numerosi anni le demenze senili di gravità variabile sono state contenute sia da un punto di vista farmacologico che fisico in un contesto assistenziale rivolto esclusivamente più che altro al controllo dei comportamenti, spesso “incomprensibili” delle persone affette da tali patologie.

Ed è proprio dalla parola “incomprensibile” che nasce il percorso nel nostro Centro Diurno e l’applicazione della Terapia Espressiva Corporea Integrata (TECI) applicata su pazienti con demenza in particolare tipo Alzheimer e che si colloca nel panorama delle terapie non farmacologiche come una metodologia da applicare per creare ponti di comprensione possibili tra ciò che è conosciuto e il mondo sconosciuto delle persone con Alzheimer, un metodo per migliorare la comunicazione affettiva e la relazionale interpersonale, potenziare il movimento corporeo, stimolare la funzione cognitiva, aumentare un senso di benessere generale e quindi poter estendere la qualità nella relazione di cura.

Lavorando quotidianamente a fianco di pazienti con demenza abbiamo imparato sulla nostra pelle che tutto quello che per gli altri era incomprensibile, per le persone con Alzheimer o altre demenze aveva un significato ben preciso. Uno sputo, uno schiaffo, un grido, mangiare le foglie delle piante, parlare da soli di fronte ad uno specchio, voler “aprire” una porta immaginaria su di un muro, spostare le cose in continuazione non erano comportamenti problematici e indecifrabili ma erano gesti simbolici, un loro specifico linguaggio che toccava a me decifrare e capire.

All’inizio del nostro lavoro ci sentivamo davvero sconcertati. Ci rendevo conto di trovarci difronte ad un gruppo di persone di certo caratterialmente e fisicamente diverse ma che ognuna di loro sperimentava sul proprio corpo e nella propria anima, la sua malattia in maniera individuale. Ogni cosa da noi detta veniva capita in modo diverso da ognuno di loro.

Doveva pur esserci qualcosa che li univa. Incontrando i pazienti, giorno dopo giorno e sperimentando con loro movimenti simbolici basati sul significato dell’azione e accompagnati dalla musica, ci rendevamo conto che stava accadendo qualcosa di magico. Quelle persone, giorno dopo giorno si riappropriavano del proprio corpo, amplificando e rendendo visibili i loro gesti, coinvolgendosi emotivamente ed a livello motorio. Stavano seduti in cerchio, non si alzavano, erano attenti e provavano piacere in quello che facevano, conversavano tra di loro, e noi con loro, attraverso un linguaggio di certo incomprensibile a molti.

Ed ecco tornare in mente le parole di Sacks: “Per quanto rimane drammatico il danno organico e la dissoluzione humeana nella demenza rimane intatta la possibilità di una reintegrazione attraverso l’arte, i contatti con il corpo e lo spirito umano; e questo può sopravvivere anche in presenza di uno stato di devastazione neurologica che in un primo tempo appare senza speranza».

Questo significava quindi che il corpo dei pazienti con Alzheimer e con demenze non dimentica? Che ha una sua memoria corporea che viene meno, forse solo, nella fase finale della nostra esistenza?

Partendo da questo interrogativo ci siamo resi ben presto conto che al di lá del loro deterioramento cognitivo e fisico, ogni persona conservava ancora molte capacità e talenti. Un giorno il signor Antonio D. ci salutò dicendomi: “La ringrazio per la lietezza allegrezza e compagnia. E’ stata una festa con tanti bambini”. stringendomi la mano e guardando i suoi compagni d’avventura, quei bambini dai capelli grigi. “La lietezza e l’allegrezza è tutta mia”, risposi.
Capimmo che quella simbolico-corporea era la strada giusta da seguire con i pazienti con Alzheimer e demenze affinché non ci sia la “persona con DEMENZA” ma la “PERSONA con demenza”.

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IL CORPO NELLA DEMENZA

Associazione Ra.Gi. Channel

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